Per l’ex minuscola cassa rurale, c’è chi pronostica un futuro da neo Banca della Toscana. I segnali sono propizi. Il piano di crescita dimensionale sprinta, e infila una doppia incorporazione. Il management, giovane e agguerrito, dalla prossima primavera sarà guidato da un nuovo presidente, Lorenzo Bini Smaghi, banchiere di peso.
E anche il nome dell’azienda, ChiantiBanca, che richiama un emblema del made in Tuscany capace di tenere unita la regione, e il logo – un’onda giallo-verde che evoca una campagna famosa nel mondo ed è ideato dal disegner di Starbucks Daniele Monti – sembrano di buon auspicio all’ascesa in un’area che offre spazi: qui è evaporato l’istituto che portava il nome della regione (Banca Toscana, appunto, rifluita in Mps), e si è indebolita la presa sul territorio di altre banche, causa crisi (l’istituto di Rocca Salimbeni e Banca Etruria) e processi di concentrazione (Cassa di Risparmio di Firenze, oggi al 100% di IntesaSanpaolo).
E così ChiantiBanca si fa largo con un’ambiziosa strategia di crescita. Che è iniziata 5 anni fa. E che porta verso la costruzione di un player di dimensione regionale.
Il 2010 è l’anno di battesimo del nuovo soggetto, nato dalla fusione tra la Banca del Chianti fiorentino, con sede a San Casciano Val di Pesa, comune alla porta sud di Firenze, e il Credito cooperativo di Monteriggioni, «anticamera» di Siena. Ma nel frattempo ChiantiBanca si è allargata ancora.
Nel 2012 è intervenuta col Fondo centrale di garanzia delle Bcc per prendersi quel che rimaneva del Credito cooperativo fiorentino (la ex banca di Denis Verdini messa in liquidazione), operazione complessa ma digerita bene.
Nelle ultime settimane, i cda delle rispettive banche hanno deliberato due fusioni per incorporazione che presto dovranno essere ratificate dalle assemblee dei soci e autorizzate da Bankitalia. Prima l’incorporazione della Bcc di Pistoia e poi di quella dell’Area Pratese, aziende radicate, in difficoltà e quindi “salvate”, ma i cui numeri proiettano ChiantiBanca al terzo posto per attivi tra le bcc italiane, con un piano industriale 2016-2018 che prevede investimenti in tecnologia (atm evoluti, web-app, nuovo internet banking) ammodernamento e apertura di filiali (in queste settimane vengono inaugurati sportelli nella terra del tartufo a San Miniato di Pisa, in quella del Brunello a Montalcino, a Castellina in Chianti e Colle val d’Elsa).
Dotazione patrimoniale di oltre 310 milioni di euro, più di 100.000 clienti e quasi 25.000 soci, 3,5 miliardi di euro di raccolta complessiva, 2,6 miliardi di euro di impieghi, presente nelle province di Siena, Firenze, Arezzo, Pistoia, Prato e Pisa con una rete di oltre 50 filiali in 26 comuni della Toscana e una proiezione che per la prima volta spinge l’istituto ad espandersi sulla costa.
Questo è il soggetto ChiantiBanca che emerge post campagna acquistie che, ad aprile, quando sarà rinnovato il cda, sarà affidato alle cure del nuovo presidente Lorenzo Bini Smaghi. L’ex membro del board Bce, oggi presidente di Société Générale (dove resterà), ha accettato l’invito degli amici di ChiantiBanca di cui è socio a provare l’esperienza di banchiere locale. E Bini Smaghi ha accettato.
Se la caratura del personaggio ha già contribuito a favorire le operazioni di incorporazione compiute finora, autorevolezza e competenza di Bini Smaghi dovrebbero servire a ChiantiBanca per dialogare alla pari con Federcasse e Federazione toscana delle Bcc, con cui ci sono stati momenti di forte attrito a maggio.
Allora il dg della Banca fiorentino-senese, Bianchi, ma anche il “socio” Bini Smaghi, accusarono il sistema bcc di «inefficienza, ridondanza delle strutture e scarsa meritocrazia nella leadership, offerta di prodotti poco concorrenziali».
Un affondo duro, tanto che da allora l’uscita di ChiantiBanca dal sistema è sembrata inevitabile, solo questione di tempo, e potrebbe avere come approdo finale la trasformazione in Popolare o in Spa.
Ma intanto ChiantiBanca insisterà anche nel processo di sviluppo. Il modello che si vuole esportare nelle province toscane è quello di banca snella, che accanto ai canali tradizionali sta potenziando il self ad alta redditività, offre un mix di prodotti di Iccrea e della Cassa centrale del Trentino di cui utilizza la rete informatica, ha debuttato a primavera nel supporto alla quotazione in Borsa di una società (Bio 2 spa) e ne ha altre in corso, e può vantare la seconda mutua tra le bcc per numero di iscritti (più di 7.000 soci).
Ora il piano industriale prevede una sede secondaria a Pisa, da dove balzare a Livorno e di insediarsi a Lucca e di Arezzo, in modo da spalmare esuberi e rischiosità ereditati con le recenti incorporazioni. E poi c’è da approfondire le chance di matrimonio con l’altra grossa bcc presente in Toscana, la Banca di Cambiano, tra le prime cinque bcc del Paese, che ha la sede centrale a Castelfiorentino.
Entrambe brillanti, eppure molto diverse. Chianti Banca, che nel 2014 ha realizzato utili netti per 7,7 milioni (+25,6%), oltre un terzo della redditività consolidata dalle 27 bcc toscane della Federazione (di cui non fa parte la Banca di Cambiano), è cresciuta soprattutto attraverso le fusioni.
L’istituto concorrente si è invece allargato per linee interne passando da 18 sportelli nel 2000 a 39 a fine 2014, che ha una raccolta complessiva di 2.367 milioni (+4,87%), impieghi per 1.909 milioni (+3,29%) e utile netto di 4,9 milioni.
Un ostacolo al matrimonio potrebbe essere rappresentato dal diverso peso che hanno i soci, 20.000 in Chianti e poco più di 3.000 in Cambiano, che vedrebbe quest’ultima eccessivamente “diluita”. Soluzioni possibili potrebbero trovarsi in una trasformazione societaria. Ma questo, semmai, in un futuro che non sembra prossimo.
Di Maurizio Bologni, redattore di Repubblica presso la redazione di Firenze
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L’articolo è tratto dall’edizione del 19 ottobre di Repubblica-Affari e Finanza