autore: Cesare Peruzzi
AGRICOLTURA E MANIFATTURA: potrebbe essere questo lo slogan che riassume il successo economico del Chianti, un’area dove il reddito medio è stabilmente più alto della media regionale toscana (32mila euro) e la disoccupazione si mantiene a livelli fisiologici (6%). Il nome Chianti è un marchio tra i più conosciuti e apprezzati a livello internazionale non solo per il vino e l’olio, che ovviamente molto hanno contribuito alla diffusione del brand legato a uno dei territori più amati nel mondo, grazie a un circolo virtuoso che dai prodotti riverbera sul territorio e da questo sulle imprese che vi operano e, dunque, di nuovo sui prodotti.
“Considerata la forza del brand Chianti, il territorio è un valore aggiunto di cui ogni impresa beneficia, indipendentemente dal settore di attività, sia nell’enologia che nella manifattura”, sottolinea Andrea Ciani, presidente del Chianti Economic Forum, associazione senza scopo di lucro nata nel 2018.
Non è un caso, insomma, se qui siano cresciute realtà aziendali come Antinori e Carapelli, ma anche Laika o, per ricordare uno degli ultimi investimenti, Celine che a Radda ha installato una fabbrica con 200 occupati. La cura della terra, le cui radici sono molto lontane, ha prodotto la bellezza e, soprattutto negli ultimi vent’anni, l’efficienza agricola del territorio. E la “capacità di fare le cose bene” sviluppata con la mezzadria ha contribuito a far crescere un know how diffuso che è stato decisivo per l’affermarsi di alcuni settori manifatturieri, come il legno-mobile (da cui ha avuto origine il distretto della camperistica) o la pelletteria, grazie alla contaminazione del polo fiorentino della moda.
Non è sempre stato così. A cavallo degli anni 70-80 del secolo scorso, il Chianti ha vissuto una trasformazione fondiaria originata dalla caduta del prezzo del vino e dall’abbandono delle terre per effetto della migrazione verso le città e le zone più industrializzate del Paese. Le proprietà terriere troppo frammentate e la mancanza di una politica commerciale favorirono lo spopolamento dell’area e l’abbandono delle case coloniche. La legge regionale degli anni 60, che di fatto ingessa l’urbanistica e impedisce la trasformazione degli edifici rurali storici, fece il resto. Ma ebbe il pregio d’impedire lo stravolgimento del tessuto abitativo che, infatti, di lì a poco, grazie al rilancio del prodotto-vino per merito di alcuni imprenditori illuminati, Piero Antinori in testa, divenne un simbolo di bellezza e di qualità.
E’ da quel momento che, con il rilancio del vino di fascia alta, la scoperta dell’olio per arricchire la cucina più apprezzata, e la valorizzazione dei borghi e dei casali veicolati nell’immaginario collettivo globalizzato al top dell’eccellenza mondiale del vivere bene, il nome Chianti raggiunge il suo attuale posizionamento. Dagli anni 90, insomma, si è innescato quel processo positivo che ha visto decollare da una parte le attività agricole di qualità, dall’altra affermarsi aziende e gruppi manifatturieri in settori diversi, come moda, elettronica e caravan, creando un mix di agricoltura e manifattura, di aziende artigiane e industriali, che ha spinto anche la crescita del terziario e dei servizi, fenomeno confermato dal consolidamento di un istituto di credito cooperativo come ChiantiBanca, oggi la più grande Bcc toscana, che ha da poco aderito al gruppo cooperativo nazionale Iccrea.
Per Giovanni Manetti, presidente del Consorzio Chianti Classico, “gli ottimi risultati del 2018 mostrano come la qualità complessiva dei vini della denominazione sia riconosciuta dalla critica e dal consumatore. Questo è il frutto di un percorso che si fonda su un’attenzione alla produzione maturata negli ultimi 20 anni. Adesso la sfida sta nel proseguire in piena continuità con questa tensione verso la qualità e il prossimo passo sta nel concentrare l’impegno di tutti i produttori nell’affinare il lavoro in vigna e in cantina, mirando a una produzione più rispettosa della natura, che possa esaltare ancora di più i caratteri di territorialità”.
La nuova sfida, insomma, si chiama rispetto dell’ambiente e circolarità dell’economia. E per mantenere le sue eccellenze (e svilupparne di nuove) il Chianti dovrà vincerla.