autore: Lorenza Cerbini
Giornalista
DIRE CHE tutto va bene sarebbe una bugia. Dal Covid 19 l’economia aretina ha subito uno scossone equivalente ad un potente terremoto. Il territorio si presenta con un’altissima vocazione per l’export e risente quindi della debolezza della domanda proveniente dai mercati internazionali. Secondo l’ultimo Rapporto Excelsior, solo il 35,8% delle imprese aretine ha un’attività a regimi simili a quelli pre-emergenza, una situazione che penalizza l’occupazione con una flessione delle assunzioni nei primi sei mesi dell’anno pari al 28,6%. Se ripresa ci sarà, insomma, bisognerà aspettare l’anno nuovo.
I settori trainanti sono tre: orafo, moda e agroalimentare. Il primo ha sempre giocato un ruolo fondamentale per il capoluogo, un comparto che nel corso di quattro decadi ha trascinato anche la “periferia” con aziende cresciute in tutte le quattro vallate che contraddistinguono la provincia. Arezzo città dell’oro però non brilla più come prima. A Voice Vicenza, fiera di settore svoltasi dal 12 al 14 settembre, hanno aderito 90 espositori (su 370 presenti). Un buon numero tutto sommato, per presentare collezioni che strizzano l’occhio ai due mercati di riferimento per l’intera oreficeria aretina, gli Emirati Arabi Uniti e Hong Kong che però non promettono scintille. Quello Medio Orientale è passato dai 150 milioni di euro del secondo trimestre 2019 ai 5 milioni dello stesso trimestre 2020 con un saldo negativo del 96,5%. Quello asiatico è risultato meno asfittico, con una flessione del 68,9% (da 80 a 25 milioni), comunque pesante. Buone notizie non arrivano neppure dagli Usa con una contrazione del 52,3%. La robusta spinta del prezzo dell’oro non ha poi giovato, i grandi buyer aspettano a comprare fino alla stabilizzazione del prezzo in un rally iniziato a gennaio 2020 e ancora in corso con quotazioni arrivate a toccare i due mila dollari per oncia. Insomma, il settore vive una “tempesta perfetta”.
In attesa di tempi migliori anche il comporto moda con il crollo dell’export nel secondo trimestre di circa il 30%. L’abbigliamento cede il 21%, la pelletteria il 25,8%, le calzature il 43,3% e il tessile il 53,8%. Qualche sorriso arriva dal settore agroalimentare e da quello agricolo. Complice le richieste della grande distribuzione, il primo ha esportato il 27,6% in più dell’anno precedente. Il secondo deve ancora fare i conti con un mercato che segue il calendario delle stagioni e si chiude ad autunno inoltrato quando zucche, meloni, pesche tardive (le settembrine) e mele lasceranno definitivamente il posto ad altre realtà.
Arezzo città d’arte vero, con Pier della Francesca, Cimabue e Vasari. Tuttavia, per decenni ha stentato ad attrarre pubblico, quello di massa della direttiva Venezia-Firenze-Roma. Come se i turisti, ispirati da un versetto del Purgatorio di Dante (XIV, v. 48), scegliessero di fare come l’Arno, “torcere il muso” a quei “botoli ringhiosi” degli aretini. Più di recente, il flusso ha cambiato direzione, attratto più dalla cucina di strada che poco a che fare con il vero gourmet che dalle bellezze artistiche. La città nell’estate del Covid si è salvata grazie ad un’iniziativa del Comune: 200 mila euro messi a disposizione nel piano straordinario “Arezzo non molla e riparte” attraverso il voucher “Extra Time”: chi decide di restare almeno per una notte avrà in omaggio un pernottamento (l’iniziativa si chiuderà il 15 novembre, opure ad esaurimento fondi) ed altri piccoli benefit.
L’economia aretina risente poi della morfologia del suo territorio e da infrastrutture che la marginalizzano. Arezzo è al centro, ombelico vero, di quattro valli che poco comunicano tra loro e con attività produttive diverse. La Val di Chiana è fisicamente proiettata verso il Lazio e si concentra sulle produzioni frutticole e agricole. La Val Tiberina confina con Umbria ed Emilia Romagna e la superstrada E45 (che collega a Roma) è sovente nell’occhio del ciclone per interruzioni, buche e incidenti stradali. Insomma, non basta più a dare respiro alla valle dove ancora spiccano tabacco e industria alimentare. Il Valdarno si spinge verso Firenze e ne gode dei benefici per servire il settore dell’alta moda (Gucci, Prada, Ferragamo) che però non attraversa il suo periodo migliore. Il Casentino, un tempo territorio di artigiani, cementifici e tessile d’autore (il famoso panno Casentino di Stia e Soci), vive un isolamento dovuto al territorio (chiuso dalle montagne sia a est verso l’Adriatico sia a ovest verso Firenze) e da collegamenti insufficienti. Un’unica strada attraversa la valle. La ferrovia è locale e per andare da Arezzo a Pratovecchio, 45 km totali, si impiega un’ora e 15 minuti.
Tutto sbagliato tutto da rifare? Non si può togliere a questa città la fiducia nella rinascita. Ci sono imprenditori che non mollano e realtà in evoluzione sia nel biologico (Val Tiberina e Val di Chiana), sia nel settore dell’elettronica e dell’informatica. Realtà che fanno ben sperare in un futuro dal segno positivo.
Lorenza Cerbini, aretina di origine, newyorchese (con passaporto Usa) nel cuore. Collaboratrice del Corriere della Sera dal 2016, è una giornalista curiosa con la passione per cinema e ciclismo. Legge il New York Times per continuare a mantenere vivo il rapporto con la città in cui ha vissuto per due decadi, impegnata su molteplici fronti anche come corrispondente estero per la radio RTL 102,5. Due continenti, otto città, trenta trasferimenti sono i capitoli della sua vita, in cui non sono mancati tre uragani vissuti sulla pelle, gli attentati dell’11 settembre e tanti Vip.